La Storia

L’inizio della storia dell’edificio che ospita l’Accademia, ovvero il convento francescano di San Lodovico, vescovo francescano di Tolosa, viene fatto risalire all’anno 1327, nel contesto del consolidamento della presenza fiorentina nel fondovalle.

L’edificio sicuramente nasce come struttura assai semplice ma, grazie al patronato dei Ricasoli, originari di questa zona, e alla reputazione anche politica che il convento assume nella nascente città, giunge ben presto ad una forma monumentale. Il convento di Montevarchi non tardò infatti ad assumere un forte rilievo religioso e sociale, integrandosi con la vita del borgo. Dallo storico Giovanni Villani apprendiamo infatti che il primo ottobre 1347 fu il frate guardiano dei minori di Montevarchi a trattare con i Tarlati, fuoriusciti di Arezzo, per togliere il Castello di Laterina al Comune di Firenze.

Secondo gli statuti comunali montevarchini, che risalgono al 1376, nella sacrestia del convento erano custodite, in una cassetta chiusa a due chiavi, le “borse” che servivano ad eleggere le cariche degli uffiziali del Comune. In occasione della venuta a Montevarchi di Papa Leone X nel 1515, questo fu ricevuto nella chiesa della Collegiata di San Lorenzo dal Padre maestro Antonio Pettoni, minore conventuale, a testimonianza che in quel tempo era la persona ecclesiastica di maggior rispetto nel paese.

In quei secoli il francescanesimo viveva un intimo travaglio storico, sempre in bilico fra conventualesimo ed osservanza, tra possesso dei privilegi e loro rinuncia. Effettivamente i privilegi della vita conventuale, soprattutto legati ai possedimenti del convento, non erano cosa da poco. Dai documenti d’archivio risulta infatti che il convento montevarchino possedeva all’inizio del XVI secolo 18 case in Montevarchi e non meno di 11 poderi distribuiti nel Valdarno. Da ciò si rileva un’intensa attività economica e di contabilità dovuta ai possedimenti del convento, che unita all’attività di gestione dello stesso e della vita della comunità, impegnava non poco in occupazioni mondane la vita dei frati.

L’area nella quale si estendeva il convento era molto ampia e doveva corrispondere ad una zona non ancora edificata del mercatale montevarchino. Documenti antichi attestano che era di proprietà del convento anche la piazza antistante – attuale Piazza Magiotti, già Piazza de’ frati – che, oltre alle necessità della predicazione tipica di tutti gli ordini mendicanti, assolveva anche alla funzione mercantile, favorita in ciò anche dall’affaccio sulla via principale del borgo. Questa disposizione poneva in una condizione di rilievo l’area conventuale rispetto a tutto il tessuto cittadino.

All’interno dell’area conventuale si articolano i luoghi tipici del convento: chiesa, chiostro, area cimiteriale, oratori (Santa Croce e Redentore), luoghi comunitari, dormitorio, foresterie e professato, più alcuni locali di deposito e servizio.

L’edificio principale, quello della chiesa, presentava la tipica distribuzione delle chiese francescane, a navata unica, ampio transetto, le tre grandi cappelle terminali, con al centro quella dell’altare maggiore. L’ambiente, illuminato da lunghe e strette monofore situate nella pareti della navata di cui ancora oggi si trova traccia, doveva essere decorato da cicli pittorici di stile giottesco, simili a quelli in parte ancora visibili nel chiostro e nel capitolo. Il tetto ligneo, a “cavalloni”, come lo definiscono le descrizioni di archivio, voltato solo nella crociera, si concludeva sulla facciata, con occhio e capannello sulla porta d’entrata.

All’interno di quest’ambiente, trovano luogo 11 altari variamente dedicati. L’altare maggiore, dedicato al S.S. Sacramento e San Lodovico, fu costruito intorno al 1360 per merito sempre dei Ricasoli, adornato, tra l’altro, da un quadro che il Vasari ricorda essere di Sandro Botticelli (l’Incoronazione della Vergine) e che oggi è conservato a Firenze nel convento delle Montalve.

Pur subendo numerosi restauri e sostituzioni nel corso del tempo, lo spazio architettonico della chiesa restò sostanzialmente invariato fino agli interventi del 1772. In quell’anno fu infatti ridisegnata la facciata, furono modificate le finestre, così come la copertura ed eseguita la decorazione delle membrature interne in stile neoclassico mediante modanature in stucco.

Un altro spazio significativo nel complesso è il chiostro che, rimandando alle proporzioni brunelleschiane, costituisce uno degli esempi più interessanti dell’architettura cittadina. Costruito intorno al 1471, come testimonia la data scolpita su un capitello del colonnato, è opera quasi sicuramente di artigianato locale. Esso sostituisce, con molta probabilità, un precedente chiostro, articolato su di un solo piano e di disegno più modesto, che fa si che vengano chiuse le finestre gotiche della chiesa. Il nuovo chiostro fa parte di un programma complessivo di interventi di riqualificazione ed ampliamento che riguarda tutto il corpo di fabbrica del convento, compresa la chiesa che si sviluppa e realizza negli ultimi decenni del ‘400. L’edificio viene costruito realizzando gli ambienti del piano terra  con coperture a volte che, per non essere ‘tagliate’ dal peso dei piani soprastanti, viene scaricato del carico mediante  una serie di archi. Vi sono tiranti in legno che tengono insieme le sezioni parallele di murature portanti.

Interessante è anche la fattura della porta di ingresso al chiostro, in noce, la cui datazione incisa in numeri romani (1522) è ancora visibile. Al centro del chiostro era presente il pozzo, tolto poi nel XIX secolo. Interessante come, al piano terra del chiostro, sia stato utilizzato un sistema a porta centrale e due finestre con archi a tutto sesto che ritroviamo nel muro tergale della chiesa del più antico edificio di Montevarchi, l’ex monastero benedettino della Ginestra.

Il secondo periodo, che potremmo definire post-conventuale, inizia con le soppressioni volute da Napoleone e che segnarono dopo cinque secoli la fine di questa importante presenza religiosa. Il 13 Febbraio 1790 l’assemblea costituente decretò la soppressione di tutti gli ordini religiosi francesi. Poco dopo, uno dopo l’altro, toccò a tutti i vari paesi, dove gli eserciti di Napoleone portarono i principi della rivoluzione francese. Nel 1810 la soppressione riguardava tutta l’Italia.

La mattina del 23 Aprile del 1808 si recarono al Convento il Cancelliere comunitativo Francesco Lapi di San Gimignano e il Commissario Adelindo Lachi di Montevarchi che, a nome del Governo di Napoleone I, sigillarono ed inventariarono tutti i mobili e libri del Convento.

Il 29 Maggio dello stesso anno il ricevitore Ferdinando Redditi di Foiano ed il commissario Giulio Ciaperoni di Montevarchi lessero il decreto di abolizione degli ordini religiosi e comunicarono ai 17 Sacerdoti e ai 7 fratelli laici la concessione temporanea di restare nel Convento.

I locali del convento quindi passarono tutti di dominio della Comunità Montevarchina. Alcuni locali vennero adibiti a scuole ed a uso della Banda cittadina, nonché al picchetto dei carabinieri. Una porzione del chiostro passò invece all’Accademia Valdarnese del Poggio: con un contratto enfiteutico del 14 Aprile 1821, l’amministratore comunale di Montevarchi cedeva all’Accademia l’uso di alcune stanze e di porzione del loggiato appartenenti al soppresso convento di San Lodovico. In esse l’Accademia poté finalmente svolgere la propria attività di studio e ricerca, nonché iniziative pratiche e benefiche e contemporaneamente trasferire in questi locali il Museo Fossile Nazionale (oggi Museo Paleontologico) e la Biblioteca, ancor oggi preziose istituzioni montevarchine. Sempre nel 1821, fu richiesto dal Proposto di Cennano, Don Giuseppe Bandinelli, di trasferire il titolo di parrocchia di Sant’Andrea a Cennano, sita precedentemente nella omonima via di Montevarchi, alla chiesa di San Lodovico del soppresso convento. Venivano anche concesse al proposto di Cennano alcune stanze del soppresso convento, ad uso di Canonica.

Nel 1858 l’Accademia poté affrancare il livello del Comune di Montevarchi e diventare libera proprietaria della sua sede.

Parte di questi locali della Parrocchia, ovvero quelli prospicienti sul chiostro, furono poi ceduti nel 1890 dal Proposto Antonio Nepi all’Accademia Valdarnese del Poggio per potervi ricavare una sala di lettura (attuale sala delle conferenze dell’Accademia).

Importanti sono gli interventi architettonici attuati nel periodo 1930-1960. Nel 1935, a cura di mons. Talluri e su progetto dell’ing. Maestrelli, a seguito di necessari lavori di risanamento e secondo la moda dell’epoca, fu ridisegnata la facciata di impronta settecentesca per dar posto ad prospetto di stile romanico. Tale progetto prevedeva anche l’apertura delle arcate del chiostro sulla via prospiciente la chiesa, proponendo qui invece un intervento dal sapore rinascimentale. Questa proposta però non trovò attuazione.

Nel 1949 con i restauri condotti ad opera della Soprintendenza di Firenze furono ripristinati i danni provocati dagli eventi bellici per cui la scala dell’Accademia che dava sul chiostro era crollata. Per realizzare l’ingresso all’Accademia si utilizzò un ambiente voltato a botte di proprietà del comune sito a piano terra che fu sezionato per lasciar passare una nuova scala.

Ma l’intervento di restauro dello spazio claustrale troverà invece piena attuazione negli anni ‘59-’64, in concomitanza dei restauri ai locali dell’Accademia. I lavori eseguiti riguardano soprattutto interventi di liberazione delle arcate del chiostro situate a piano terreno, eliminando i numerosi locali che vi si erano stati ricavati, le “accecature” degli archi, la scala ed ogni altro elemento incongruo che era andato ad intasare e trasformare l’elegante spazio claustrale. Furono anche sostituite alcune colonne e recuperate pitture del XVI secolo che si trovavano nelle lunette delle arcate.

Questo intervento, che pure ottiene uno spazio elegante ed arioso, risulta però limitato filologicamente. Frutto della cultura architettonica ottocentesca nel suo tentativo, se mai possibile, di restituirci l’originale spazio claustrale, limita l’intervento al livello terreno del chiostro, lasciando invariata l’articolata volumetria del piano superiore, il quale, invece, risultava aperto nei tempi che questo intervento a tentato di evocare.

Nel 1979 il provveditorato delle Opere Pubbliche per la Toscana, per quanto dispone la Legge 292/68, intraprese lavori di restauro relativi alla copertura della chiesa, per il consolidamento del campanile e per la ripresa degli intonaci con successiva coloritura e patinature.

Nel 1981, in parte dalla Sovrintendenza ed in parte dall’ente proprietario con il contributo dello Stato, sono stati eseguiti ulteriori lavori, che sono consistiti nella realizzazione di idonea rete fognaria per la raccolta delle acque di scolo del prato e dei tetti, nonché per il deflusso di quelle dei servizi igienici dell’Accademia.

All’inizio degli anni ‘90 i locali della sacrestia della Chiesa di Sant’Andrea a Cennano e della Compagnia di Sant’Antonio sono stati recuperati e resi idonei alle attività culturali ed associative del Centro San Lodovico e a quelle pastorali della chiesa montevarchina.

Nel 1999 è stata restaurata dalla Soprintendenza, sempre con il contributo statale, la copertura dell’Accademia e gli impianti elettrico e termico della stessa istituzione.

Nel 2001 il Comune di Montevarchi ha acquisito dalla Parrocchia di Sant’Andrea a Cennano i locali dell’ex monastero di San Lodovico per destinarli alla completa dislocazione delle funzioni culturali dell’Accademia del Poggio.

Dal 2003 al 2005 sono stati realizzati nuovi lavori di restauro del chiostro, cofinanziati dalla Regione Toscana, con i quali sono stati recuperati gli affreschi e gli elementi lapidei del colonnato; sono stati realizzati gli intonaci delle facciate, una nuova pavimentazione in pietra e un nuovo impianto di illuminazione. Gli ultimi restauri che hanno dato vita alla nuova Accademia sono iniziati nel 2007 mediante il finanziamento del Comune di Montevarchi e il cofinanziamento della Regione Toscana.